A Civita di Bagnoregio con un bebè: sospesi nella città sospesa

 

– Ammazza che trifora! – Come strapiomba sto strapiombo. – Si chiama ‘città che muore’ perché casca, casca giù proprio da sola -. Tra le persone che si inerpicavano sull’unico ponte lungo e sottile per raggiungere il borgo di Civita di Bagnoregio c’eravamo anche noi tre.

Non avremmo dovuto essere lì, avevamo mangiato presto in campagna e ci eravamo preparati a partire in fretta e furia per evitare il traffico e portare Piccolé a Roma prima di sera. Erano le tre e mezza ed eravamo già in macchina, ma il cielo era troppo azzurro, le querce troppo verdi, la strada (ancora) troppo libera per andare dritti a casa.

E così siamo partiti nella direzione opposta. Siamo finiti a Civita di Bagnoregio, dove A. non era mai stato. Io avevo un ricordo da bambina di questo paese etrusco costruito su una base di argilla che, frana dopo frana, è rimasto un mucchietto di case abbarbicate in cima a un colle. Ci vivono ancora una decina di persone. L’ho trovato incantato come nell’immagine che avevo nella mia memoria, sembra fluttuare nel vuoto.

Anche Piccolé ha apprezzato. Andava in giro nel marsupio, in braccio al papà e sembrava studiare tutto. La vallata brulla sotto il ponte, le case di tufo, i gatti, gli archi, i passanti. È strano pensare che di questi giorni, di questi primi mesi insieme che io non dimenticherò mai lei non avrà nessun ricordo. Avrei voglia di scrivere ogni cosa, in ogni suo più piccolo particolare.

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Il barbiere hipster

Il barbiere hipster che ha aperto a Roma nella mia via è solo l’ultimo di una serie di negozi “giovani” arrivati negli ultimi mesi nel mio isolato. Il primo è stato un birrificio (qualcuno doveva aver detto al proprietario che si stava trasferendo nella zona un clientone come A.). Poi è toccato alla latteria-gelateria a chilometri zero. E c’è stata la volta del laboratorio di tatuaggi, che ha monopolizzato per settimane le conversazioni ai giardinetti tra vecchietti scandalizzati e ragazzini incuriositi.

Nel giro di un inverno è cambiato il volto della strada e si è avventurato a prendere una casa da queste parti anche qualche universitario, ma resta da vedere come i nuovi venuti si relazioneranno con i negozi “storici” del quartiere dalle sorelle brucia-caffé al fruttivendolo mummificato. Per il momento solo Stella, l’estetista cinese, ha dichiarato guerra ai ragazzi della birreria, colpevoli di disturbare con i loro schiamazzi i suoi massaggi.

Per rappresaglia, lei spara a tutto volume dalla mattina alla sera le sue canzoni preferite. Un giorno le ho chiesto se parlassero d’amore, mi ha risposto di no. “Questa – mi fa – per esempio dice: la Cina è grande, ma lavora e lavora e diventerai grande come la Cina”. Della serie: se non sono pazzi non ce li vogliamo.

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Nella terra di mezzo

Questa è una dichiarazione d’amore per la mia strada. Dici “abito a Roma” e tutti si immaginano una camera con vista sul Colosseo (magari con Scajola per dirimpettaio) o minimo minimo una romantica casetta color pastello a Trastevere. Io vivo un po’ più in là, non ancora in una periferia “dura e pura” ma neanche tra viali alberati e palazzine liberty.

Quando hanno inventato la versione capitolina di Risiko (il geniale Rosiko) hanno lasciato un buco nero in questa zona  tra il “Non solo centro” dei vari Prati, Vaticano, Villa borghese e i “Territori del Nord-Ovest” che si estendono dalla Balduina fino a Casal del Marmo e la Giustiniana.
Ecco, qui siamo nel regno dei palazzoni anni 60 che si affacciano su altri palazzoni anni 60 (anche se ancora, a saper dove guardare, ogni tanto spunta tra le antenne paraboliche uno spicchio di Cupolone).

I turisti da queste parti ci finiscono solo se si perdono mentre cercano i Musei Vaticani, ma abbiamo anche noi le nostre attrattive:

1 Il meccanico egiziano Abramo, che ti saluta con entusiasmo ogni volta che passi davanti alla sua officina anche se non hai macchina né motorino (compensa proponendoti ad ogni festa comandata di assoldare un soprano o una ballerina del ventre, interpretati sempre dalla sua nipote disoccupata);
2 Le fornaie chiacchierone, capaci di vendere quintali di pizza bianca anche alla più anoressica delle modelle;
3 La palestra coatta con luci al neon e musica tunza tunza che cerca di darsi un tono con i corsi di pilates. “Sugli ischi! Ho detto che ve dovete da poggià sugli ischi!”, risuona per tutta la sala;
4 Il porno-pizzicagnolo (droghiere, per chi non mastica la lingua), io ancora ho timore ad avventurarmici da sola. Ma tra battutacce e apprezzamenti pesanti è una garanzia di successo per gli amici che vengono da fuori: “Molto pittoresco”;
5 Le sorelle-bruciacaffé, si suppone debbano essere delle bariste ma, vista la scarsa attitudine all’espresso, immaginiamo che sia una copertura. Il mistero è perché continuiamo ad andarci;
6 Il fruttivendolo mummificato. C’è chi è pronto a giurare che sia in quel negozio fin dalla prima guerra mondiale, è “antico” più che vecchio. A un certo punto aveva anche venduto, ma poi non sapeva che fare a casa senza la sua bottega e se l’è ricomprata. Da lì combatte tremolante contro una decina di concorrenti del Bangladesh che lo hanno circondato, ma lui non si arrende;
7 La pizza al taglio più cara di Roma. La strategia è andarci che sei già strasazio e ordinare “giusto un assaggio”. Se riesci a sopravvivere al conto, è una vera goduria.

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Questo post è stato pubblicato in origine sul mio blog 40 settimane (e mezzo). Reportage dalla mia gravidanza.

* Foto credit: Tic edizioni

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