
Non ho sempre amato il rugby. “Mi sta più simpatica la lotta tra cani”, ho detto una volta.
Mi ero trovata da sola a un romantico viaggio a Parigi perché avevano spostato la data di una partita (che poi era stata annullata per neve). Sono cose che capitano alle eroiche compagne dei rugbisti.
E poi vedevo occhi neri, scorrettezze e insulti e mi sembrava un po’ gonfiata tutta la retorica dello sport dei gentleman e delle lezioni di vita del rugby.
Dopo quasi dieci anni a bordo campo posso dire, però, che mi sono commossa all’ultima partita di A., e non era solo al pensiero di avere finalmente domeniche libere da impegni.
Alla fine anche a me, tifosa riluttante, il rugby ha insegnato tanto. Forse è davvero una scuola di vita.

Il rugby visto da dieci anni a bordo campo
Lezioni del rugby. Non è finita fino a quando non è finita
È bello il gioco di squadra, il rispetto dell’avversario, il terzo tempo e tutto quello che si dice di solito. Ma la prima lezione del rugby, per me, è la tenacia, quella che porta a spingere fino alla fine, anche se sei stanco, dolorante e sotto di decine di punti.
Mi sa che è pure quella resistenza e testardaggine che ha portato A., dopo una notte in ospedale per un’intossicazione, attaccato a una flebo, a uscire di nascosto per presentarsi in campo. Io per poco non lo lasciavo (e forse facevo bene).
Un po’ di fango non ha mai fermato nessuno
Alla festa per l’ultima partita di A., alla Urc Capitolina, il Picinin (a un anno e mezzo) è entrato con lui in campo nel corridoio formato dai giocatori delle due squadre. Poi ha divorato pasta cacio e pepe e salsiccia e assaggiato la birra (nonostante le mie proteste).
Ma è stato quando ha iniziato a saltare nel fango e rotolarsi nelle pozzanghere che tutti hanno convenuto che avesse la stoffa del rugbista (oltre che la stazza). Forse è perché è uno sport inglese ma pioggia e melma sono ingredienti fondamentali.

La tua squadra è per sempre e c’è sempre
Penso che i compagni dell’Asr siano la cosa di Milano che manca di più ad A., da quando si è trasferito a Roma. La squadra è la cosa più importante nel rugby, dove si avanza e si arretra tutti insieme, si vince e si perde tutti insieme, come in una guerra. Ne nascono grandi amicizie.
La prima squadra non si scorda mai e non ti scorda mai, mi viene da dire. Mi è scappata una lacrima quando ho visto il saluto della vecchia società per l’ultima partita di A., anche se non gioca più con loro da cinque anni e vive a 600 chilometri di distanza.
Nel rugby c’è spazio per tutti
Non sei mai troppo magro, troppo basso o troppo grasso per giocare a rugby, al massimo non sei abbastanza determinato. Ho visto giocatori di ogni tipo, alcuni sembrava impossibile che fossero degli sportivi, eppure in campo ognuno aveva il suo posto e spingeva verso la vittoria.
Nessuno è sbagliato, al massimo deve ancora trovare il suo ruolo. Tra tutte, questa è la lezioni del rugby che mi piacerebbe trasmettere ai bambini.

Non si smette mai di essere un rugbista
“Non farci l’abitudine ad averlo a casa”, mi ha detto all’ultima partita un vecchio rugbista. È uno di quei signori che si vedono sempre a bordo campo e che rappresentano l’anima dei club.
Da una parte guardava i miei bambini che giocavano lì accanto con la palla ovale, dall’altra pensava che non sarebbe durato molto A. lontano dal campo da rugby. Chissà. Lui dice che non vuole giocare negli Old e che è troppo scarso per insegnare, ma non si sa mai.
Quanto ai bambini, nonostante tutti gli occhi siano puntati sul Picinin, secondo me è la sorella, Piccolè, che ha davvero la tempra della rugbista. Anche perché la palla preferita del fratellino, al momento, è tonda. E c’è la principessa di Frozen disegnata sopra.
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