-Aridatece Playa de las Americas!- Con l’isola de La Gomera non è stato amore a prima vista, c’è voluto del tempo per capire in che posto pazzesco eravamo finiti con i bambini.
Appena arrivati, mentre ci addentravamo in una montagna di nebbia e il termometro scendeva sotto i dieci gradi, io continuavo a invocare il Sud di Tenerife. Lo avevamo appena intravisto, prima di imbarcarci con il traghetto c’era stato tempo per due giochi sulla spiaggia di Las Americas.
Ora che la nostra strada saliva in una foresta sempre più fitta, umida e intricata, mi apparivano come un miraggio la spiaggia dorata e assolata, gli ombrelloni e l’acqua cristallina. Avevamo snobbato il Sud di Tenerife per le folle di turisti e le colate di cemento, ma continuavo a pensare che Piccolè avrebbe preferito essere lì a costruire castelli di sabbia piuttosto che sotto questa pioggerella senza fine.
Innamorarsi de La Gomera
E’ stato al mattino dopo, quando la nebbia si è alzata, che abbiamo iniziato a scoprire la magia di la Gomera. La nostra casa era un puntino rosso sulla costa brulla, dalle finestre si vedeva l’Oceano, le scogliere e qualche fattoria. Il vento soffiava così forte che ho capito perché si dice che “ululi”, faceva paura.
Il paesino, Alojera, sembrava dimenticato dal mondo, con le sue casette bianche e squadrate tipiche delle Canarie. C’era un unico negozio aperto, un bar-alimentari che era tale e quale a uno spaccio del Far West. La prima volta che ci siamo andati gli scaffali erano quasi tutti vuoti, abbiamo potuto comprare solo wurstel, uova, pane, latte e banane. La spiaggia, poco più giù, era incredibilmente protetta dai venti, non c’era nessuno.
Alla ricerca di qualcosa da mangiare, abbiamo attraversato mezza isola, passando nella Laurisilva, una foresta incantata di alberi che somigliano all’alloro, muschi, edere e licheni. Ogni angolo poteva celare il nascondiglio di un elfo o una fata. Al di là della foresta, il paesaggio si faceva desertico, e c’era il sole! Le temperature salivano fino a 25 gradi e abbiamo scoperto anche spiagge dove fare il bagno, a Villa Gran Rey. Qui c’era un po’ più di vita, e abbiamo sentito per la prima volta anche il silbo.
Il linguaggio della foresta gomera
Il silbo è una lingua rarissima, fatta di fischi simili al canto degli uccelli, che veniva usata tradizionalmente a La Gomera dai pastori. Ha una storia eroica perché la resistenza anti-franchista usava i fischi del silbo, che si sentono a chilometri di distanza, per comunicare da una cima all’altra dell’isola, tanto che il generalissimo l’aveva messo fuori legge. Con il ritorno della democrazia, questa lingua stava venendo dimenticata e solo negli ultimi anni ha ripreso a diffondersi grazie alla sua iscrizione nel patrimonio dell’umanità dell’Unesco e al suo insegnamento nelle scuole gomere.
Eravamo sempre più affascinati da la Gomera, dove gli unici stranieri sembravano essere qualche pensionato tedesco e autostoppisti hippy. Ce n’erano tantissimi, su strade così poco trafficate che davano l’impressione di poter essere da anni lì in attesa di un passaggio. Ci stavamo addentrando tra boschi e paesini sperduti come Agulo, quando a Piccolè è salita la febbre. Così per gli ultimi giorni io e lei siamo rimaste a casa, mentre gli “uomini di casa” uscivano per procacciare del cibo e ne approfittavano per qualche escursione nei dintorni, nel parco nazionale del Garajonay.
Tutta l’isola della Gomera è riconosciuta come riserva della biosfera e ha 650 chilometri di sentieri, dei quali diversi adatti anche con i bambini. Ma noi non abbiamo potuto provarli, perché Piccolè è guarita appena in tempo per prendere il traghetto che ci avrebbe portato a La Palma, terza tappa del nostro viaggio alle Canarie, dopo Tenerife e la Gomera. Ci piacerebbe tornare a La Gomera, magari con qualche maglione in più, magari non a gennaio e magari non con un neonato. Sembra incredibile che in Europa ci sia un posto così.
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