
Vado a Madrid con le amiche e l’ebbrezza di partire da sola, dopo più di due anni, mi dà alla testa. Uno zainetto come bagaglio, un paio di scarpe con il tacco alto aggiunte all’ultimo momento, addirittura due libri e una rivista perché – per una volta senza bambini al seguito – posso leggere quanto mi pare.
Mi piace così tanto l’idea di viaggiare da sola in gravidanza – anche se è solo per qualche ora, già in aeroporto, a Madrid, incontrerò la mia amica – che mi gusto anche la preparazione della valigia. Il beauty case però lo riduco al minimo, avrò solo il bagaglio a mano e non voglio problemi in aeroporto, e poi così ho una scusa in più per usare il make up delle ragazze.

Viaggiare in gravidanza: destinazione Madrid
Prendo un cartoccetto di riso in un cinese take-away e mi metto ad aspettare il pullman per l’aeroporto. Mi sento un’adolescente in partenza per le vacanze. Ho persino le cuffiette nelle orecchie e, quando salgo a bordo, mi sbrago lungo due posti (pensando al passeggero segreto nella mia pancia, sento di averne diritto). Poi l’autobus parte e io mi addormento, sono pur sempre una mamma in crisi di sonno perenne. E se a questo ci aggiungiamo la catalessi da primo trimestre di gravidanza, ecco che la ronfata è assicurata.

Dormo dalla stazione Termini fino all’aeroporto di Ciampino ed è una fortuna, così non mi accorgo del traffico bestiale che mi fa quasi perdere l’aereo. Finalmente riposata, passo il volo a guardare le nuvole fuori dal finestrino, a parlare telepaticamente con il clandestino nella mia pancia e a leggere. All’aeroporto mangio la prima tapas – una tortilla con patatas – in attesa di incontrare la mia amica, poi prendiamo un Uber (il primo della mia vita) e andiamo a casa di M.
Madrid in gravidanza, una città che sa godersi la vita
È bello essere di nuovo insieme. La prima serata passa di chiacchiere e tapas – M. ci porta in un posto speciale, super madrilegno, vicino a casa sua a Goya, La taberna de la Daniela – finché non chiude il locale. Poi ancora chiacchiere a casa.

Il giorno dopo assaporiamo il lusso di essere in una città che già conosciamo, dove non c’è la fretta di collezionare musei o monumenti da vedere per forza. Ci aggiriamo così tra negozietti di vestiti – qui costano pochissimo e sono belli e particolari -, andiamo al mercato a dare una sbirciatina alle signore che fanno la spesa, poi puntiamo sul nostro posto preferito, il parco del Retiro per rilassarci prima della serata tra artisti di strada, famiglie in bici, musicisti, ragazzi in skateboard o sui pattini. L’impressione è che Madrid sia una città che sa godersi la vita come poche altre.
Finiamo a una festa popolare di flamenco, tipo la feria de Abril di Siviglia.È incredibile vedere tantissima gente ballare insieme nei vestiti tradizionali. Giovani e anziane, nonne e bambine, tutte insieme a danzare, sulle note passionali delle canzoni, con movimenti decisi e aggraziati, in abiti sgarcianti, spesso a pois, stretti come una seconda pelle fino al ginocchio, e poi svasati in larghe gonne. Uno spettacolo.

M. dice che le donne andaluse spendono, per uno di quegli abiti, migliaia di euro. Lei una volta ne ha indossato uno, preso in prestito per la feria di Siviglia. Ha detto che sono così attillati che hai bisogno di aiuto non solo per infilarli, ma anche solo per andare in bagno. Sarà pure scomodo, ma le donne in quei vestiti mi sembrano tutte bellissime.

La domenica dormiamo fino a tardi. Ci svegliamo appena in tempo per una visita ai banchi del Rastro, il mercato delle pulci. prima che chiudano. Facciamo un gito in centro tra Plaza Mayor, dove svolazzavano, attaccati a dei fili , pezzi di stoffa con messaggi che invitavano a sognare, e Plaza Santa Ana, dove cediamo ancora una volta al richiamo delle tapas. C’è tempo ancora solo per una mini-passeggiata lì intorno ed è già ora di ripartire.

Il piano B
Tra le cose che riporto a casa da questo viaggio a Madrid in gravidanza, tra tanti ricordi e risate, c’è anche un concreto progetto lavorativo. Infatti ho trovato il mio piano B, se un giorno non ne potrò più di questa vita da giornalista precaria: il piano è diventare una poetessa di strada. Ho conosciuto questa ragazza al parco del Retiro, se ne stava lì con una vecchia macchina da scrivere su un banchetto, un cappello a tese larghe in testa e un cartello con su scritto: “dammi il tema e ti faccio un poema“. Improvvisava rime su qualsiasi cosa e i suoi committenti le pagavano quanto volevano. A suo dire, ci viveva abbastanza bene e, insomma, mi ha convinta. Ho pure già la macchina da scrivere.

Ps Anche quando aspettavo Piccolè, ero volata dalle mie amiche per dargli la notizia di persona e goderci un finesettimana da ragazze a Londra, dove M. abitava allora. Ecco com’era andata
40 settimane (e mezzo) – In volo per Londra con Cora e
40 settimane (e mezzo) – Fuga a Londra con Pancione.
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